La mancata identificazione IVA del fornitore preclude l’applicazione dell’inversione contabile nelle cessioni interne, in quanto la sua applicazione è subordinata alla condizione che tanto il fornitore quanto l’acquirente siano previamente identificati ai fini IVA (Corte di Giustizia UE, sentenza 30.6.2022, relativa alla causa C-146/21 con oggetto la Legislazione rumena).

La sentenza non ha conseguenze per la Legislazione italiana. La normativa nazionale si differenzia da quella vigente in Romania in quanto:

  • il regime speciale delle piccole imprese recepito nel c.d. “regime forfetario” presuppone sempre e comunque l’apertura della partita IVA;
  • per quanto riguarda il rapporto tra il “regime forfetario” e il reverse charge, con la Circolare 27.3.2015, n. 14/E l’Agenzia delle Entrateha chiarito che tale meccanismo non si applica alle cessioni di beni/prestazioni di servizi effettuate da soggetti che applicano il regime forfetario. Qualora, invece, tali soggetti acquistino beni o servizi in regime di reverse charge, sono tenuti ad assolvere l’imposta secondo tale meccanismo ma non possono esercitare il diritto alla detrazione, dovendo solo effettuare il versamento dell’imposta a debito.

La normativa nazionale è in linea con la sentenza in commento perché il reverse charge interno, regolato dall’art. 17, commi 5, 6 e 7, DPR n. 633/72, è applicabile a determinate operazioni effettuate tra soggetti passivi IVA, residenti o stabiliti in Italia. Ciò presuppone la necessità che entrambi gli operatori coinvolti siano in possesso ed abbiano già richiesto un numero di partita IVA.

(fonte: Seac del 25/07/2022; estratto)

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